Shakira è stata al centro di moltissimi contenuti in queste ultime settimane, al punto che anche i meno appassionati di gossip se ne sono dovuti fare una ragione.
Questo articolo esula di molto dal mio modo usuale di scrivere del mito; quando tratto di cose antiche non sono solita soffermarmi troppo sulle vicende della società attuale mettendo le due cose in relazione poiché, dal mio punto di vista, tale relazione sarebbe inappropriata. Poi però succede che Shakira viene paragonata a Medea, e no, non posso passare oltre! Di colpo ho sentito il bisogno di spiegare perché, per me, mettere le due cose l’una di fianco all’altra sia
davvero ingiustificato.
Shakira come Medea? Conosciamo meglio quest’ultima
Medea è un personaggio affascinante che non può passare inosservato. Negli anni l’ho vista “raccontata” come eroina femminista ma anche – vedi il gossip -, come una donna che agisce in base ai valori del patriarcato. Tutto ed il contrario di tutto, insomma! Entrambe queste appropriazioni mi sembrano profondamente ingiuste. E se può essere vero che la rabbia di una donna abbandonata in favore di un’altra può essere la medesima nel corso della storia, i contesti ed i tempi in cui questa rabbia emerge sono troppo importanti per essere ignorati.
Vi racconterò quindi di Medea e giudicherete poi voi se il paragone con Shakira è calzante o meno, che ne dite?
Le origini di Medea
“Vive nella reggia di Eeta una ragazza, a cui la Dea
Ecate ha insegnato più che ad ogni altro mortale
l’arte dei filtri, quanti ne producono la terra ed il mare
immenso: con essi doma la vampa del fuoco infaticabile
e ferma all’istante il corso dei fragorosi fiumi,
incatena le stelle ed il sacro cammino della luna.”
Apollonio Rodio, Le Argonautiche

Anche stilare alberi genealogici dei personaggi del mito non rientra nelle mie modalità, ma la genealogia di Medea è importante per iniziare a comprenderla. Suo padre, Eeta, re della Colchide, è fratello di Circe e di Pasifae, figli del dio sole Helios e della ninfa oceanina Perseide. Medea è nipote del sole. Alcuni la dicono figlia di Ecate stessa. Medea, quindi, è una donna ma non è del tutto umana, lei è SEMIDIVINA. E, andando ancora più oltre, ci sono studi che ipotizzano che in epoca arcaica Medea fosse una dea a pieno titolo.
Insomma, fino a qui concordiamo tutti sul fatto che siamo su di un piano davvero molto diverso da quello di una normale mortale? La Colchide, un paese situato oltre il Mar Nero, è la sua terra di nascita e anche questo dettaglio è importante, oserei dire fondamentale. Medea è sempre vista come protagonista del mito greco ma Medea non è greca.
Medea è figlia di una terra straniera, arcaica, intrisa di mistero e magia, legata a culti e cerimonie antiche, dal sapore primitivo. È un regno dove l’istinto prevale, dove il legame degli abitanti con la terra è forte e sacro, dove gli Dei si respirano e si vivono. Dal punto di vista greco, dal punto di vista, cioè, da cui la storia è raccontata, Medea è una barbara che tanto assomiglia alla terra dalla quale proviene: selvaggia, indomita, libera. In più Medea è maga.
Conosce abili incanti, ha in sé il sapere delle erbe e può utilizzarlo per stregare, per guarire, per ferire ed infine anche per uccidere. Non è una rispettabile, composta, sottomessa donna greca.
Il suo spirito non è greco, così come non lo sono i suoi valori e così come non lo è la sua visione del mondo. Medea sin dal principio è l’altro, il diverso, l’estraneo. Infine, non bisogna dimenticare questo: la voce di Medea non esiste. Di lei ci raccontano Euripide, Seneca, Apollonio Rodio, per citare gli autori più famosi.
Autori che hanno tutta l’intenzione di mostrarci di Medea il peggio possibile e che, nel narrare la storia, hanno un preciso intento educativo e, potremmo dire, morale. La voce di Medea è sempre filtrata dalla voce di qualcun altro. Tenendo tutti questi fattori bene a mente, addentriamoci nel racconto.
Il vello d’oro e l’incontro con Giasone
Tutto iniziò col vello d’oro. Eeta lo conservava sopra una quercia nel boschetto sacro ad Ares, ed era convinto che finché il vello sarebbe rimasto in suo possesso, lui avrebbe continuato ad essere re.
Un giorno arrivò da terra greca una spedizione di uomini, gli argonauti, a capo dei quali vi era Giasone, giovane uomo che stava tentando di reclamare il suo trono nella città di Iolco.
Pelia, l’uomo che aveva usurpato la sua regalità, l’aveva mandato a recuperare il vello d’oro come prova.
Se Giasone fosse riuscito a riportare il vello in Grecia allora avrebbe potuto assumere il suo ruolo di sovrano.
A sua volta Eeta metterà Giasone alla prova. Voleva il vello d’oro? Benissimo. Doveva fare ciò che Eeta faceva ogni giorno: domare due tori dai piedi di bronzo che nella piana di Ares pascolavano spirando fuoco dalla bocca.
Con essi poi avrebbe dovuto arare quattro iugeri di terreno con denti di drago come semi dai quali avrebbero preso vita guerrieri con armi bronzee che andavano distrutti nello stesso istante in cui
sorgevano dalla terra. L’eroe è scoraggiato, ma accetta la sfida, non sapendo ancora che un’altra forza sta agendo in quel momento nella sala del trono. Medea è infatti presente e vedendolo imponente e forte, sicuro, indomito davanti ad ogni cosa si innamora perdutamente di lui. Forse non è altro che un tiro mancino degli dei, una freccia scoccata da Eros con somma maestria.
Che sia capriccio divino o profondo sentimento umano Medea decide senza esitare di aiutare l’eroe nella sua impresa. Con l’intervento della sorella Calciope, Medea incontra l’eroe in solitudine e gli promette di confezionare un filtro tramite il quale il corpo di Giasone diverrà infaticabile e sommamente forte, “come se non fosse di un mortale ma di un Dio”. Egli non dovrà fare altro che spargerlo sul suo corpo e sulle armi dopo essersi propiziato Ecate con sacrifici notturni. Quindi sarebbe diventato invulnerabile ai colpi del bronzo ed anche alle fiamme. Per un giorno intero forza e ardimento sarebbero stati impareggiabili in lui, Medea però non offre il suo aiuto invano. Sa che aiutando l’eroe verrà considerata una traditrice e chiede, quasi impone, a Giasone di portarla via con lui. Da parte sua Giasone non ha bisogno di pensarci. Anche lui si sente innamorato di questa donna che ha appena conosciuto e con piacere le promette di portarla con sé e di fare di lei la sua legittima sposa, la regina del suo riconquistato regno.
Così si compie il sodalizio della maga e dell’eroe, e grazie ai filtri di lei la prova viene superata.
La fuga dalla Colchide e l’arrivo a Corinto

Da questo momento in poi il destino della coppia è la fuga. Sin da subito Medea mette le sue arti magiche a servizio di Giasone e per salvare la vita ad entrambi non esita ad uccidere. Uccide il suo stesso fratello Apsirto per seminare le navi che Eeta manda contro di loro nel tentativo di recuperare il Vello.
Spinge le figlie di Pelia ad uccidere il padre per far sì che Giasone possa nuovamente sedersi sul suo trono. Ma il popolo di Iolco, scoperte le trame della maga, costringe Giasone e Medea nuovamente a fuggire lontano. I due giungono quindi a Corino dove il Re Creonte dona loro ospitalità. Giasone è afflitto, non sarà mai re.
Di Medea inizia a dubitare. Aveva promesso di sposarla, ma lei con tutta la sua magia non può offrirgli nulla. Gli ha dato due figli, certo, ma nulla più. La sua magia, poi, è tremenda. Anche a Corinto nessuno la vede di buon occhio, e la sua pessima reputazione rischia di essere associata anche a lui. E così l’eroe mette gli occhi sulla figlia del Re, la giovane Creusa, Creonte con gioia approva l’unione dei due.
Shakira e Medea a confronto: di rabbia e di vendetta
Medea è ferita: abbandonata, sola, considerata inutile dall’uomo che ama. La rabbia si risveglia e con lei il desiderio di vendetta.
Fingendo felicità per l’imminente matrimonio di Giasone e Creusa, regala a quest’ultima uno splendido manto appartenuto a lei stessa. Nel momento stesso in cui Creusa lo indossa il suo corpo prende fuoco perché il manto è intriso di veleno. E anche Creonte viene avvolto dalle fiamme nel disperato tentativo di sfilare il manto dal corpo della figlia. I due morranno insieme, ma per Medea non è abbastanza. Anche Giasone deve essere colpito, a lui non sarà concesso il sollievo della morte. Lui deve perdere tutto, come ha perso tutto lei. E così, ci dicono gli autori classici, Medea uccide i suoi stessi figli perché loro sono rimasti l’unico affetto, l’unica consolazione di Giasone. La vendetta è quindi compiuta e Medea fugge da Corinto su un cocchio trainato da draghi.
Il linguaggio del Mito

Eccola qui Medea e con lei le sue azioni, o meglio le azioni che ci raccontano di lei gli autori classici. Secondo altre fonti i figli non li avrebbe uccisi lei, ma sarebbero stati ammazzati dal popolo di Corinto furente contro la maga. Secondo altre fonti tante cose sarebbero andate in modo un po’ diverso. Ma noi rimaniamo su queste versioni classiche e più conosciute.
Penso che la domanda possa essere: quindi queste azioni sono buone o cattive? Sono femministe? Sono patriarcali?
Io dico che non sono nulla di tutto questo perché queste categorie di giudizio fanno parte della nostra mentalità, non certo della mentalità del luogo dal quale Medea proviene e nemmeno del ruolo che lei riveste e cioè quello di maga. Medea possiede un’Arte che la connette profondamente ai processi essenziali della vita di cui la morte fa parte. Medea usa quest’Arte senza categorizzazioni (buono/cattivo, giusto/sbagliato, bene/male), semplicemente agisce secondo la sua personale etica, morale, visione delle cose; agisce per ristabilire equilibri o quelli che lei sente come tali in sintonia con i poteri ai quali è connessa.
Il giudizio sta negli occhi di chi guarda
Il giudizio sta nei nostri occhi, e sicuramente negli occhi degli autori greci per i quali Medea è una donna incomprensibile, una donna libera e spaventosa. Le sue abilità devono dunque essere mostrate nella loro eccezione più estrema.
Pur facendo questo, però, non riescono ad eliminare del tutto gli elementi più arcaici, e ci sono studi secondo i quali Medea sarebbe stata l’originaria Dea del territorio Colco poi sminuita e soppiantata dalle divinità greche; sebbene questo sia un elemento di grande interesse, non lo approfondiremo qui ora. Il mito ha un linguaggio suo, proprio, e vari gradi di lettura.
Certo, possiamo sentirci mosse dai sentimenti e dalle emozioni forti di Medea! Possiamo identificarci in lei, o possiamo respingerla. Ma non dobbiamo dimenticarci che questo avviene perchè noi abbiamo una forma mentis molto precisa data dalla nostra cultura. Il mito appartiene ad una forma mentis diversa, a una cultura specifica. Sicuramente nella Grecia classica non esisteva il femminismo così come non esisteva un’ottica patriarcale come la intendiamo noi oggi, in base alla quale Medea avrebbe agito avvallandone i valori.
Ma quindi il paragone tra Shakira e Medea … regge?
Sono io a chiederlo a voi: vi sembra ancora possibile fare un paragone con Shakira, ora? O forse lasciamo che il mito ci colmi, insegnandoci uno spazio diverso. In Bellezza.
“Nutrice: la Colchide è lontana, di tuo marito non ti puoi fidare, del tuo potere non resta più
nulla.
Medea: resta Medea. In lei c’è mare e terra, e ferro e fuoco, i fulmini e gli dei.
[…]
La sorte può sottrarmi ogni bene, non l’animo, mai.”
Seneca. Medea
FONTI E APPROFONDIMENTI DI LETTURA:
Euripide, Medea
Seneca, Medea
Apollonio Rodio, Le argonautiche
Christa Wolf, Medea. Voci, ed Piemme
Momolina Marconi, da Circe a Morgana, ed Venexia